Leonardo Da Vinci e il sonno polifasico

sveglia
Il sonno polifasico ha caratterizzato la vita di Leonardo da Vinci, ma anche quella di Thomas Edison, Buckminster Fuller, Nikola Tesla, Benjamin Franklin, Thomas Jefferson, e Napoleone. Il sonno polifasico ha fatto parte della vita di molti geni nella nostra storia, che, in modo inaspettato hanno abbandonato il ciclo circadiano o bifasico per prediligere quello polifasico.

Se ci pensiamo, i neonati hanno per loro natura un sonno polifasico. Questo può far sperare che il sonno bifasico sia solo un adattamento post nascita, dovuto con molta probabilità ai ritmi di tipo sociale e naturale, per seguire il ritmo del sole.

Il sonno è un processo che cambia durante la vita di un essere umano e passa da quello polifasico del neonato a quello bifasico del bambino (che dorme a lungo durante il pomeriggio), fino ad arrivare a quello monofasico circadiano, tarato sul ciclo giorno-notte, dell’adulto. Infine nella senilità il ritmo circadiano, strettamente monofasico del giovane adulto, fa spazio ad un ritmo polifasico ultradiano, ciò vuol dire con frequenti sonnellini diurni.
In particolare, Leonardo da Vinci, alternava 4 ore di veglia a un periodo di 20 minuti ad occhi chiusi il che portava, nell’arco della giornata a 6 periodi di sonno/riposo, per un totale di 120 minuti di riposo, avendo ben 22 ore di veglia, da impiegare per “attività produttive”.

Molte volte ci capita di pensare a quanto sarebbe bello poter avere una giornata di 48 ore, per poter riuscire a fare tutto ciò che abbiamo in mente. Il sonno polifasico ci può aiutare.
Ma quali sono i vantaggi e gli svantaggi?

L’essenza del sonno polifasico, da la possibilità di ridurre le ore di sonno durante la giornata ad un minimo che varia (a seconda dei metodi), dalle 6 alle 2 ore giornaliere complessive: in pratica occorre frazionare il sonno in molti micro-sonni durante l’arco della giornata, di entità e durata differenti secondo le metodologie che scegliamo di applicare.

La domanda a questo punto è: ma non ci hanno sempre detto che per sentirsi in forma bisogna dormire almeno otto ore per notte? In realtà, questo sembra essere un mito da sfatare: infatti, secondo alcuni studiosi, le ore di sonno “necessarie” sono quelle che ci permettono di svegliarci da soli e cosa più importante di sentirci riposati.
Come tante altre caratteristiche biologiche, anche il sonno è estremamente soggettivo. In media la durata naturale del sonno è di 7 ore 1/2: il 60% delle persone ha bisogno di dormire un’ora in più o un’ora in meno rispetto alla media, da 6 1/2 a 8 ore 1/2. Agli estremi si trovano quei pochi “fortunati” a cui bastano 4 ore 1/2 e quelle persone a cui invece, servono fino a 10 ore 1⁄2 di sonno.
Altri ricercatori, ad esempio, ritengono che dovremmo dormire ancora di meno e che le famose otto ore potrebbero essere perfino dannose per la salute. Secondo le statistiche, sembra che sette ore di sonno siano associate ad un minore rischio di mortalità rispetto ad un sonno di più ore. Dormendo troppo si può provocare un sovraccarico di sonno R.E.M. (dall’inglese Rapid Eye Movement, movimenti oculari rapidi) densissimo di sogni, che può causare depressione e affaticamento. Ridurre la fase R.E.M. significa allontanare la malinconia.

Quindi, pare che sia benefico modificare il normale fabbisogno di sonno e in particolar modo le tecniche di sonno “polifasico ultrabreve”, sono quelle più efficienti e produttive. E’ possibile ridurre le ore di sonno normalmente “necessarie” del 10-25% a lungo termine e fino al 50% a breve termine, andando ad accorciare il riposo notturno e aggiungendo alcuni brevi sonnellini nel corso della giornata. Il sonno lungo ed ininterrotto cui sono abituati gli esseri umani è raro in natura: infatti, l’85% delle specie viventi seguono uno schema di sonnellini multipli in modo da aumentare l’efficienza del sonno. Infatti, la fase più riposante del sonno è proprio all’inizio di questo ed è costituita da onde lente e profonde chiamate delta (tutti gli stadi del sonno sono importanti, ma il sonno delta, ovvero il sonno “profondo”, sembra essere quello più riposante). È curioso notare che diminuendo la durata totale di sonno, si ottiene comunque il 90% di sonno delta.
Quindi iniziando ripetutamente il sonno sotto forma di brevi sonnellini, si andrebbe ad aumentare l’efficienza temporale del sonno ottenendo una fase riposante più lunga. In questo modo si vanno a ricaricare più spesso le batterie e ciò ci permette di rimanere vigili anche quando siamo in debito di sonno.

Questa è una spiegazione interessante sullo scopo del sonno polifasico che va a mettere in luce la funzione essenziale della fase R.E.M. e consiste nell’aumentare la quantità di sonno R.E.M. pur andando a diminuire le ore di sonno complessivo, ovvero eliminando completamente o quasi gli altri tipi di sonno. Per fare questo, il dormitore polifasico si appisola per venti o trenta minuti ogni 4 ore, ad orari prefissati. Il problema è che i sonnellini di mezz’ora non procurano il sonno R.E.M. ad un dormitore tradizionale, poiché per i monofasici il sonno si divide in cicli di novanta minuti circa e il R.E.M. occupa una parte medio-terminale del ciclo, che va al di là della mezzora.
La soluzione è quella di forzare il corpo per il tempo necessario a “convincerlo” che è meglio anticipare il sonno R.E.M. all’inizio del ciclo onirico, quindi andare a forzare gli orari del sonno polifasico anche se sembra di non farcela a stare svegli. Prove sperimentali testimoniano come dopo i primi due giorni che possiamo definire massacranti, per l’assenza del sonno ristorativo per la mente, si comincia a sognare, per poi arrivare dopo circa una settimana ad una inaspettata sensazione di energia e vitalità. Questo unito al fatto che si hanno a disposizione cinque ore di veglia al giorno in più.



Questa tecnica di riduzione del sonno ha dimostrato di essere efficace anche in condizioni particolarmente difficili, come nel caso di interventi di emergenza nello spazio, nei giri del mondo in barca a vela in solitario (sperimentato anche dalla velista in solitario Ellen MacArthur) o subito dopo la nascita di un figlio.

Ovviamente il sonno polifasico non può essere considerato un’alternativa permanente al sonno normale: così come si può forzare il corpo a mantenere un peso inferiore a quello naturale, si può anche costringere l’organismo a dormire di meno, ma in questo modo saremo sempre bisognosi di cibo… o di sonno.

Possiamo osservare però, che se si priva un soggetto del sonno per tre giorni consecutivi, la prima notte, dopo i tre giorni di deprivazione di sonno, il soggetto dormiva di solito per 12-13 ore, la notte seguente per circa 10 ore, dopodiché aveva perfettamente recuperato. Si potrebbe pensare che, avendo perso 24 ore di sonno, avrebbe dovuto dormire altre 24 ore per recuperare la mancanza di sonno, ma non è così: il recupero di sonno non è calcolabile matematicamente. Dopo queste prove non si sono riscontrati effetti negativi a lungo termine.
A breve termine, invece, sembrano verificarsi solo due conseguenze che si possono misurare: in primo luogo è molto più difficile alzarsi quando suona la sveglia e in secondo luogo è difficile concentrarsi su compiti che non richiedono una particolare attenzione, (quelli più monotono o rilassanti) piuttosto che su compiti che richiedono molta presenza (quelli più impegnativi, entusiasmanti o rischiosi).

Quindi possiamo dire che pisolini brevi e frequenti, di circa 5-30 minuti l’uno, permettono di guadagnare un paio d’ore di autonomia ed evitare così le famose otto ore di sonno notturne. Il sonno polifasico è, però, adatto a chi ha esigenze estreme, come i velisti o gli astronauti ma sarebbe più difficile invece giustificare un pisolino ogni due ore al datore di lavoro o al professore. C’è da dire che in questi casi, ovvero per chi ha un lavoro che lo tiene impegnato tutta la giornata, il sonno polifasico è praticamente impossibile. Questo fa pensare quanto il sistema ci abbia portato lontano dalla nostra libertà di scelta.


Gli individui che potrebbero beneficiare di questa metodica, sono ad esempio, il personale sanitario e di volo e in particolar modo i lavoratori notturni. In quest’ultimo caso, l’istituzione di un regime di riposo frammentato è addirittura auspicabile ai fini della sicurezza.
Attenzione, però: la tecnica polifasica è una condizione artificiale e, come tale, va “usata con attenzione”. Chi modifica il proprio ciclo sonno-veglia può avere difficoltà a ritornare alle abitudini normali, andando incontro a ripercussioni sul sistema vegetativo, endocrino e immunitario.

Per finire ecco alcune indicazioni sull’alimentazione da seguire se si decide di iniziare la tecnica del sonno polifasico.

Bere caffeina: questa sostanza spinge le cellule ad ignorare una sostanza chimica, l’adenosina, che stimola il sonno e aumenta la produzione di dopamina, che a sua volta va a contrastare la depressione limitando la durata di sonno R.E.M. L’effetto della caffeina svanisce dopo due o tre ore, quindi evita di assumerla prima di fare un sonnellino e prima di andare a dormire.
Ridurre l’apporto di carboidrati. Il glucosio presente nei carboidrati fa aumentare i livelli d’insulina, provocando nell’immediato uno stato di massima vigilanza, seguito però da un crollo energetico. Per ridurre al minimo i picchi insulinici, bisogna mangiare più spesso e diminuire l’apporto di carboidrati. Queste due tecniche servono anche a stimolare il metabolismo.

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