I PESI
Di energia, in realtà, ne avete in abbodanza: essa, infatti, proviene dal cosmo e ne potete prendere a volontà. Il problema è che avete già preso quello che potevate prendere. L’energia non è sparita da nessuna parte, essa è solo stata quasi completamente impiegata per qualcosa. Tutta la potenza titanica dell’energia è stata spesa per sorreggere due tipi fondamentali di peso, vediamo quali. Innanzitutto per so- stenere gli obblighi e le limitazioni di cui vi siete fatti carico.
Immaginate questa scena: vi siete assunti l’obbligo di fare qualcosa. E al collo vi siete messi un bel peso massiccio. Poi vi siete dettati delle condizioni, e ve ne siete appesi al collo un altro. Poi avete promesso a voi stessi o a qualcun altro di realizzare qualcosa: ecco che vi siete aggiunti l’ennesimo peso. Quanti pesi di questo tipo vi ciondolano al collo? Finché non sono tanti, si può vivere. Ma arriva il momento in cui il peso totale accumulato diventa insostenibile e allora qualcosa scop- pia: messo alle strette, l’uomo si ammala, va in depressione o gli succede una disgrazia. E allora comincia a guardare al mondo con tensione, sfiduciato e timoroso. E la realtà, riflesso dei suoi pensieri, finisce veramente per acquisire sfumature cupe fino a diventare una fascia scura che non si sa quanto possa durare.
Il secondo tipo di peso è quello creato dai potenziali superflui. Attribuendo inutilmente una grande importanza a fatti diversi, ci si lascia volontariamente appesantire da carichi di problemi smisurati, un’intera montagna di fardelli insostenibili: il senso d’inferiorità, con la sua necessità di essere “super”, di difendere e consolidare il proprio valore personale; il senso di colpa e di responsabilità, con il suo obbligo di com- pensare le colpe ed eseguire il proprio dovere; la valutazione esagerata della difficoltà dei problemi, che porta a sentire la necessità di fare un grande lavoro; le oppressioni continue dettate dai dubbi e dalle preoccupazioni.
Tante sono le persone che avanzano lungo la strada della vita tenendosi al collo i pesi di ogni tipo di obbligo assunto, delle cose non portate a termine, delle condizioni ferree ac- cettate, dei piani progettati e di obiettivi di vario tipo. Il fine attiva certamente l’energia d’intenzione ma solo a condizione che esso si realizzi, non che rimanga in stato di progetto. Non c’è niente di più semplice che pianificare un lavoro, fissarne le condizioni e fare delle promesse. Però conviene tener presen- te che, vincolandosi con un qualsiasi tipo di obbligo, anche minimo, ci si appende al collo un peso che consuma l’energia d’intenzione. E con questo peso, poi, si deve andare avanti.
Per finire, in aggiunta a quanto detto resta da dire che una delle cause maggiori di debolezza del potenziale energetico è la banale intossicazione dell’organismo.
Immaginate questa scena: vi siete assunti l’obbligo di fare qualcosa. E al collo vi siete messi un bel peso massiccio. Poi vi siete dettati delle condizioni, e ve ne siete appesi al collo un altro. Poi avete promesso a voi stessi o a qualcun altro di realizzare qualcosa: ecco che vi siete aggiunti l’ennesimo peso. Quanti pesi di questo tipo vi ciondolano al collo? Finché non sono tanti, si può vivere. Ma arriva il momento in cui il peso totale accumulato diventa insostenibile e allora qualcosa scop- pia: messo alle strette, l’uomo si ammala, va in depressione o gli succede una disgrazia. E allora comincia a guardare al mondo con tensione, sfiduciato e timoroso. E la realtà, riflesso dei suoi pensieri, finisce veramente per acquisire sfumature cupe fino a diventare una fascia scura che non si sa quanto possa durare.
Il secondo tipo di peso è quello creato dai potenziali superflui. Attribuendo inutilmente una grande importanza a fatti diversi, ci si lascia volontariamente appesantire da carichi di problemi smisurati, un’intera montagna di fardelli insostenibili: il senso d’inferiorità, con la sua necessità di essere “super”, di difendere e consolidare il proprio valore personale; il senso di colpa e di responsabilità, con il suo obbligo di com- pensare le colpe ed eseguire il proprio dovere; la valutazione esagerata della difficoltà dei problemi, che porta a sentire la necessità di fare un grande lavoro; le oppressioni continue dettate dai dubbi e dalle preoccupazioni.
Tante sono le persone che avanzano lungo la strada della vita tenendosi al collo i pesi di ogni tipo di obbligo assunto, delle cose non portate a termine, delle condizioni ferree ac- cettate, dei piani progettati e di obiettivi di vario tipo. Il fine attiva certamente l’energia d’intenzione ma solo a condizione che esso si realizzi, non che rimanga in stato di progetto. Non c’è niente di più semplice che pianificare un lavoro, fissarne le condizioni e fare delle promesse. Però conviene tener presen- te che, vincolandosi con un qualsiasi tipo di obbligo, anche minimo, ci si appende al collo un peso che consuma l’energia d’intenzione. E con questo peso, poi, si deve andare avanti.
Per finire, in aggiunta a quanto detto resta da dire che una delle cause maggiori di debolezza del potenziale energetico è la banale intossicazione dell’organismo.
Per liberare le proprie risorse, dunque, occorre o gettar via una parte delle intenzioni potenziali, o procedere alla loro realizzazione.
Prestate attenzione a voi stessi: cosa vi sta opprimendo? Se ci si ragiona un po’ su, di molti
pesi ci si può tranquillamente liberare. Può anche darsi che molte di queste massicce “decorazioni” vi sembrino necessarie, ma che senso ha portarsele dietro se non si riesce a realizzarle? Per esempio: devo assolutamente essere meglio degli altri; devo sem- pre essere in alto, al “top”; mostrerò a tutti e a me stesso quanto valgo; sono obbligato a seguire la strada che ho scelto; devo as- solutamente vincere, sennò perderò il rispetto di me stesso; non posso permettermi il diritto di sbagliare, e così via, includendo anche le classiche promesse del tipo: smettere di fumare, impara- re una lingua straniera e cominciare, da lunedì, una nuova vita.
Concorderete con me che tutto quello che viene eternamente rimandato a dopo è un peso inutile, ed esso o viene realizzato o dev’essere buttato via, dato che consuma energia che è semplicemente stupido sprecare invano.
Per esempio, quando una persona è impegnata in un processo di libe razione da un qualche vizio, spende una doppia porzione di energia: da una parte la persona deve comun- que ancora pagare al pendolo la sua rata, dall’altra deve portarsi appresso il fardello pesante dell’impegno assunto di smettere con la cattiva abitudine.
Questo “tiramolla” può andare avanti per anni. La violenza su se stessi deve in ogni caso essere tramutata in convinzio- ne, cioè se si deve smettere, lo si deve fare per convinzione e non per necessità. Inchiodandosi da sola in un angolo usando metodi volitivi, la persona accumula una tensione maggiore, cui seguirà inevitabilmente un’esplosione. Per questo è mol- to più opportuno scegliere una delle due opzioni: o realizzare con decisione l’intenzione, o liberarsi del peso dell’impegno assunto e indirizzare la propria abitudine in un canale gesti- bile. Mi spiego: piuttosto che chiedere in giro una sigaretta o una tiratina, è meglio procurarsi una bella pipa e comprarsi del buon tabacco; piuttosto che fare capatine colpevoli nei bar o bere di nascosto, è meglio tenersi in tasca una bottiglietta di “quello buono”. Questo significa creare con il proprio credito- re dei rapporti di scambio societari, e il risultato è che il vizio dannoso diventa più moderato e gestibile. La banca offre al suo buon cliente delle condizioni favorevoli, senza parlare poi del fatto che un vizio lasciato in libertà fa molto meno danno di quello che odi ma non puoi lasciare. La dichiarazione d’in- tenzione, in questo caso, peggiora la situazione.
Comunque, questa non è la soluzione migliore del problema. Prima di cercare di domare un vizio, trasformandolo in maniera civile, bisogna parlare molto seriamente con se stessi.
Esiste ancora un tipo di peso molto gravoso: lo studio inteso come sterile lavoro di accumulo di dati. Se l’intenzione è quella di riempirsi la testa di informazioni si crea una grande tensione. L’intenzione in questo caso non si realizza, ma aggrava solo la situazione. Il movimento manca e in compen-
so c’è solo la tensione. Per questo, anche se dico solo una verità banale, vale la pena ripeterla: non ha alcun senso memorizzare
In questo caso è alta la probabilità che i pendoli, approfittando della vostra de- bolezza, vi impongano i loro fini. Per ricercare il proprio fine occorre disporre di un livello sufficiente di libertà, e con ciò si intende soprattutto libertà da impegni assunti di fronte agli altri e di fronte a se stessi.
per ricercare il proprio fine occorre disporre di un livello sufficiente di libertà, e con ciò si intende soprattutto libertà da impegni assunti di fronte agli altri e di fronte a se stessi. E ancora, perché questa ricerca abbia successo, serve liberarsi di un altro peso: bisogna permettersi, per il momento, di non avere un proprio fine. Per ricercarlo, infatti, è necessario avere energia libera a disposizione, e proprio di questo occorrerà occuparsi in prima istanza. Si possono usare tre vie per aumentare il proprio potenziale energetico: liberare le risorse impegnate, allenare i flussi energetici, estendere i canali energetici.
Prestate attenzione a voi stessi: cosa vi sta opprimendo? Se ci si ragiona un po’ su, di molti
pesi ci si può tranquillamente liberare. Può anche darsi che molte di queste massicce “decorazioni” vi sembrino necessarie, ma che senso ha portarsele dietro se non si riesce a realizzarle? Per esempio: devo assolutamente essere meglio degli altri; devo sem- pre essere in alto, al “top”; mostrerò a tutti e a me stesso quanto valgo; sono obbligato a seguire la strada che ho scelto; devo as- solutamente vincere, sennò perderò il rispetto di me stesso; non posso permettermi il diritto di sbagliare, e così via, includendo anche le classiche promesse del tipo: smettere di fumare, impara- re una lingua straniera e cominciare, da lunedì, una nuova vita.
Concorderete con me che tutto quello che viene eternamente rimandato a dopo è un peso inutile, ed esso o viene realizzato o dev’essere buttato via, dato che consuma energia che è semplicemente stupido sprecare invano.
Per esempio, quando una persona è impegnata in un processo di libe razione da un qualche vizio, spende una doppia porzione di energia: da una parte la persona deve comun- que ancora pagare al pendolo la sua rata, dall’altra deve portarsi appresso il fardello pesante dell’impegno assunto di smettere con la cattiva abitudine.
Questo “tiramolla” può andare avanti per anni. La violenza su se stessi deve in ogni caso essere tramutata in convinzio- ne, cioè se si deve smettere, lo si deve fare per convinzione e non per necessità. Inchiodandosi da sola in un angolo usando metodi volitivi, la persona accumula una tensione maggiore, cui seguirà inevitabilmente un’esplosione. Per questo è mol- to più opportuno scegliere una delle due opzioni: o realizzare con decisione l’intenzione, o liberarsi del peso dell’impegno assunto e indirizzare la propria abitudine in un canale gesti- bile. Mi spiego: piuttosto che chiedere in giro una sigaretta o una tiratina, è meglio procurarsi una bella pipa e comprarsi del buon tabacco; piuttosto che fare capatine colpevoli nei bar o bere di nascosto, è meglio tenersi in tasca una bottiglietta di “quello buono”. Questo significa creare con il proprio credito- re dei rapporti di scambio societari, e il risultato è che il vizio dannoso diventa più moderato e gestibile. La banca offre al suo buon cliente delle condizioni favorevoli, senza parlare poi del fatto che un vizio lasciato in libertà fa molto meno danno di quello che odi ma non puoi lasciare. La dichiarazione d’in- tenzione, in questo caso, peggiora la situazione.
Comunque, questa non è la soluzione migliore del problema. Prima di cercare di domare un vizio, trasformandolo in maniera civile, bisogna parlare molto seriamente con se stessi.
Esiste ancora un tipo di peso molto gravoso: lo studio inteso come sterile lavoro di accumulo di dati. Se l’intenzione è quella di riempirsi la testa di informazioni si crea una grande tensione. L’intenzione in questo caso non si realizza, ma aggrava solo la situazione. Il movimento manca e in compen-
so c’è solo la tensione. Per questo, anche se dico solo una verità banale, vale la pena ripeterla: non ha alcun senso memorizzare
In questo caso è alta la probabilità che i pendoli, approfittando della vostra de- bolezza, vi impongano i loro fini. Per ricercare il proprio fine occorre disporre di un livello sufficiente di libertà, e con ciò si intende soprattutto libertà da impegni assunti di fronte agli altri e di fronte a se stessi.
per ricercare il proprio fine occorre disporre di un livello sufficiente di libertà, e con ciò si intende soprattutto libertà da impegni assunti di fronte agli altri e di fronte a se stessi. E ancora, perché questa ricerca abbia successo, serve liberarsi di un altro peso: bisogna permettersi, per il momento, di non avere un proprio fine. Per ricercarlo, infatti, è necessario avere energia libera a disposizione, e proprio di questo occorrerà occuparsi in prima istanza. Si possono usare tre vie per aumentare il proprio potenziale energetico: liberare le risorse impegnate, allenare i flussi energetici, estendere i canali energetici.
Vadim Zeland
Le mele cadono in cielo
La via del Transurfer - https://faregruppo.blogspot.it
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