IL TREDICESIMO PIANO
Basato, in parte, sul romanzo Simulacron-3 di Daniel F. Galouye e uscito lo stesso anno di Matrix, Il tredicesimo piano è un bellissimo gioco di scatole cinesi e realtà virtuali, ingiustamente passato inosservato, nonostante sia capace, senza eccessivi effetti speciali, di risultare, agli occhi di un attento spettatore, un viaggio virtuale nel noir e nella cyber sci-fi che richiama astutamente Blade Runner, Philip K. Dick e i suoi ipotetici androidi che sognano pecore elettriche.
Questo film è complesso, credibile e offre generosi suggerimenti sulla tematica della creazione di realtà parallele e, in questo caso, virtuali. Ci fa immaginare di essere rappresentazioni possibili di qualcosa, crea una serie di interrogativi molto profondi, mescolando spazi, tempi, opportunità e desideri che si risolvono in un lieto fino per nulla scontato, dando vita ad un ulteriore paradosso per cui il vero prende il posto del finto e il finto lascia il posto alla realtà e così genera incognite e riflessioni su cosa sia effettivo e cosa invece sia frutto di una pura concezione mentale. La fantascienza sullo spazio-tempo, sui suoi paradossi e sulle conseguenti creazioni delle dimensioni parallele si concretizza, in questo intreccio, scatenando dubbi e crisi d’identità. Quanto possiamo essere certi della nostra esistenza? Chi ci assicura che, come in un sogno, al nostro risveglio, non ci accorgeremo un giorno di aver vissuto un’esistenza fittizia, di essere stati manovrati e plagiati da qualcuno al di sopra di noi?
La pellicola diretta da Josef Rusnak gioca tra ambientazioni temporali differenti, salta tra passato, presente e futuro riproducendo scene e set di film noti, a partire dagli interni che richiamano palesemente l’appartamento di Deckard in Blade Runner e ipotizzando, con schemi ben precisi, le fondamenta di mondi virtuali e poi di simulazioni nella simulazione. In numerose scene, l’idea della strada da percorrere dà la percezione di un viaggio verso la conoscenza di se stessi e della propria origine. Si ipotizza da sempre l’esistenza di infinite possibilità, di infiniti mondi paralleli, ma se, invece di essere paralleli, fossero contenuti l’uno nell’altro? Partendo da questo presupposto è certamente più facile arrivare, seppur in maniera soggettiva, alla conclusione che nulla di quello che i nostri occhi percepiscono è, senza ombra di dubbio, certo e indiscutibile. In ogni momento esiste una seconda possibilità per rendersi conto di quanto i sogni siano reali e importanti per costruire una “propria” esistenza nella quotidiana routine.
In un mondo di simulazioni, relazioni sempre più irreali e fittizie, veicolate da macchine, web e finzioni di ogni tipo, dove ognuno sceglie di essere un personaggio, un film come Il tredicesimo piano è concepito per aprire gli occhi e aiutare lo spettatore a rendersi conto della propria individualità. Ci sono e ci potrebbero essere infiniti alter ego di noi stessi, potremmo inventare migliaia di ruoli da interpretare e immaginare mondi che danno vita ad altri mondi, ma tutto ha una conseguenza. Qui la sceneggiatura focalizza l’attenzione sulla problematica della presa di coscienza, della scelta, della crisi d’identità che può avere un individuo reale, ma che può interessare anche una sua proiezione virtuale. Ognuno di noi tende a conoscere la propria origine e la propria personalità, ma, a ben pensarci, nulla ci rende sicuri di ciò che percepiamo. A volte si avverte che le proprie certezze si basano unicamente su sogni e illusioni, però anche un sogno o un’idea possono essere reali. “Io non sono vero e non ci si può innamorare di un sogno!” direbbe Douglas, ma sempre più spesso i sogni, per assurdo, sono la parte migliore e più reale di noi, quella con cui alla fine decidiamo di convivere. Come potremmo non innamorarcene perdutamente?
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